L’Osservatore Romano – 7 marzo 2023
Il biblista gesuita Pietro Bovati e Gemma Capra Calabresi, la vedova del commissario Luigi Calabresi, sono intervenuti sabato 4 marzo, nell’Aula Nuova del Sinodo, per inaugurare la quarta tappa dei “Cammini Giubilari Sinodali”, un percorso di preparazione al Giubileo organizzato dalla Fondazione Fratelli tutti in collaborazione con la Basilica di San Pietro.
Davanti a circa 300 invitati, rappresentanti di un centinaio di realtà che si occupano di giustizia, i due relatori con tonalità diverse e complementari hanno ribadito come la fraternità e il perdono siano gli antidoti alla vendetta e alle varie forme di violenza che portano alla guerra.
Anche il cardinale Mauro Gambetti, arciprete della Basilica di San Pietro, lo ha premesso all’inizio dell’incontro: “Abbiamo un sogno, vedere costruita la società intorno al principio della fraternità, dando ognuno il contributo per una società più giusta”. È sotto questa luce che si comprende il senso delle nuove tappe dei “Cammini Giubilari Sinodali” previste per il 2023, «Percorsi di un nuovo incontro», che hanno all’orizzonte il capitolo 7 dell’Enciclica Fratelli tutti.
Per entrambi i relatori occorre attraversare il conflitto e il dolore per alimentare la fraternità e approdare alla ricostruzione della verità, alla purificazione della memoria e al dono del perdono. Nella Bibbia, ha ricordato padre Bovati, la giustizia non è intesa come vendetta o come una pena esemplare ma è riparazione e ricomposizione delle relazioni che si sono fratturate nella storia personale, sociale e politica. Si tratta di una dinamica che ha la sua origine nella bontà salvifica e paterna di Dio: “Di fronte al male, infatti – ha aggiunto il biblista – Dio intraprende un processo (diverso da quello giudiziale) di dialogo con il malvagio stesso, stabilendo con lui un rapporto personale, dove la giustizia deve rifiorire dall’incontro e dal consenso fra i due, fra il colpevole, e il promotore di giustizia, la vittima”. Nella Bibbia il Signore si serve degli uomini per salvare e perdonare; per questo, ha aggiunto padre Bovati, “Dio parla per mezzo dei profeti e opera per mezzo dei suoi servi, obbedienti al suo Spirito”.
Dare la possibilità a chi sbaglia di comprendere il proprio male è l’inizio di ogni incontro con il dolore di chi di quel male ne subisce gli effetti. Ascoltare questo appello e rispondervi è la responsabilità che la Bibbia affida agli uomini e alle donne. Ma c’è di più: custodire come comunità ecclesiale e civile l’incontro tra vittime e rei apre all’avvenire e alla ricostruzione della fraternità. Lo ricorda il perdono ”parabolico e profetico” di Giuseppe ai suoi fratelli raccontato nel libro della Genesi.
Gemma Capra Calabresi ha invece ripercorso le notti oscure e le giornate di “pace profonda” che le hanno dato la forza di perdonare gli autori dell’omicidio del marito. Era il 17 maggio 1972 quando il commissario Calabresi fu assassinato sotto la loro abitazione, lei era una giovane di 25 anni incinta del terzo figlio.
Nella sua testimonianza scandita da una voce profonda e dolce, ha ricordato volti e immagini, segni e parole che le hanno dato la forza di trasformare l’odio e il dolore in riconciliazione: “Al processo, vidi uno degli imputati abbracciare con tenerezza il figlio. Quell’uomo, capii, non era solo il mandante di un omicidio. Era anche altro. Da quel giorno non li ho più chiamati assassini ma responsabili della morte di mio marito. Tutti abbiamo da perdonare qualcuno, prima o poi i conti col perdono li dobbiamo fare. Non possiamo inchiodare una persona solo all’errore commesso”. Come monito ha affermato che “l’odio non fa più vedere niente di bello. Si può amare ancora la vita anche dopo un dolore lacerante”.
La fede l’ha aiutata a umanizzare la sua storia e a crescere come donna, madre e insegnante di religione: “Può perdonare anche chi non crede perché il perdono è un sentimento che riguarda tutti”.“ I segni – ha aggiunto – arrivano a tutti, credenti e non. Il perdono è un dono che non si dà col ragionamento ma con il cuore. È un cammino lungo ma ho deciso che era una mia scelta di vita”. Dalle sue parole sono così emersi gli effetti del perdono che non diminuisce la pena da scontare, ma umanizza la sua espiazione, fa luce sulla verità dei fatti, condanna il male, restituendo dignità a chi ha sbagliato e un senso al dolore della vittima.
Le relazioni sono poi state condivise in gruppi di lavoro in cui i partecipanti al simposio hanno potuto conoscersi, scambiarsi buone pratiche legate alla mediazione e alla giustizia riparativa e costruire insieme una rete di fraternità e di giustizia dal volto umano. L’esperienza si è poi conclusa con un momento conviviale e fraterno offerto dalla Coldiretti e una visita spirituale alla Basilica di San Pietro accompagnati dal parroco, padre Agnello Stoia.
Momenti così, intesi come tappe di un cammino, sono un investimento anche per la vita della Chiesa. Considerare l’altro un fratello prima che un nemico è ciò che ci costituisce persone morali e ci permette di costruire un sistema giudiziario che tenga in conto una “riabilitazione umana” della persona colpevole. Si tratta di un interrogativo che ha inquietato la filosofia del Novecento. Tuttavia la responsabilità sociale di soddisfare tale bisogno è la pietra angolare della fraternità.
Francesco Occhetta
Segretario Generale Fondazione Fratelli tutti