Fondazione Fratelli tutti

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La costruzione della fraternità della pace: l’intervento di Sergio Barbanti

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  • Trascrizione da video non rivista dall’autore.

    Il discorso che ha tenuto l’ambasciatore d’Italia in Israele lo scorso 23 settembre al simposio organizzato dalla Fondazione Fratelli tutti, in collaborazione con la Basilica papale di San Pietro.

    Ringrazio Padre Francesco; ringrazio il cardinale Gambetti per l’invito qua oggi. Grazie a tutti voi per essere qui. Grazie anche a Suor Rita, che non conoscevo prima e che ho potuto conoscere adesso. Il mio discorso se posso descriverlo così, sarà come un’ape che passa da fiore in fiore. L’argomento è talmente vasto e, trattando del mondo, i temi sono talmente importanti che alla fine cercherò di selezionarne solamente alcuni. Chi di voi ha mai usato Google Maps? Una persona cerca un piccolo posto su Google Maps; Google Maps parte dal generale, dallo spazio; vede la Terra, poi piano, piano si concentra e arriva fino a lì. Guardiamo la Terra dal di fuori, consideriamola un unico organismo vivente, composto da esseri viventi, umani e non umani. Se facessimo l’esame del sangue alla Terra e poi dessimo un’occhiata, naturalmente considerando le voci che hanno una maggiore importanza, che idea ci faremmo dello stato di salute di questo unico organismo vivente?

    La XVII edizione del Global Peace Index del 2003, un indice che misura lo stato della pace a livello globale, nel 2023 indica che è il nono anno di peggioramento. Ci sono oggi 55 conflitti armati attivi nel mondo, di cui 8 sono guerre e 22 internazionalizzati, ovvero che c’è un intervento di altri paesi, estranei al conflitto in sé stesso. C’è una crescita del 96% di decessi legati alle guerre, rispetto all’anno scorso. E non è solo dovuto all’Ucraina, anzi, in gran parte è dovuto all’Africa. Questi sono dati tremendi.

    Associamoli ai dati economici. Paradossalmente, il costante peggioramento dello stato di salute della pace del mondo, si realizza in condizioni di espansione economica globale. Il nesso tra pace e crescita economica è messo in forte dubbio. Nel 2022, il mondo ha raggiunto un PIL record di 100 trilioni di dollari; nel 2037 sarà raddoppiato. Questo cosa vuol dire? Che noi viviamo in un mondo che forse potremmo definire obeso e malato. Mi fermo qua per adesso a citare solamente un dato. Accenno solo brevemente perché vorrei evitare di dilungarmi ma è importante: dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, e in particolare della Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace del 1984 i giuristi ritengono che esista un diritto internazionale alla pace con il rispetto dei diritti umani come elemento fondamentale. Roberto Bobbio giustamente ha indicato che se vuoi la pace, prepara la pace. Si sa benissimo che in genere la dicitura è si vis pacem, para bellum, non lo mettiamo in discussione, però se una persona non nutre le radici della pace, la pace si spegne.

    Questa diagnosi ci porta a domandarci in che cosa sia malato il mondo in cui noi viviamo; sostanzialmente nelle relazioni: la guerra è sicuramente uno degli elementi più evidenti di una forte crisi relazionale. Che tipo di relazioni? Allora diciamo relazioni tra gli esseri umani tra di loro, tra gli esseri umani e l’ambiente, all’intero degli esseri umani tra sé e sé, relazioni in relazione al trascendente, che secondo me è Dio; comunque, ognuno può avere una propria idea di trascendenza.

    Se uno mi domanda di che cosa mi occupo nel mio lavoro, la mia risposta è che io mi occupo di relazioni. Recentemente, a Tel Aviv una persona, ospite a casa di amici, mi ha detto: “Ma scusa, oggi che le informazioni e i commenti sono accessibili così facilmente, che bisogno c’è che la vostra funzione esista ancora? È tutto così accessibile”. Io ho fatto presente che non mi occupo di informazioni, io utilizzo le informazioni. Io mi occupo di relazioni. Per questo aspetto trovo molto illuminante il passaggio dell’enciclica Fratelli tutti dove si dice che la vita è l’arte dell’incontro. Io credo realmente che la vita sia l’arte dell’incontro. In questo senso, è necessario tenere conto dell’importanza dell’incontro in sé, ma anche del fatto che deve essere un’arte, non soltanto una tecnica. La vita è l’arte dell’incontro. Aggiunge il paragrafo, “anche se tanti scontri sono nella vita”, ma questo l’abbiamo già visto.

    Tutto ciò per dire che cosa? Che alla domanda che mi hanno fatto ho risposto che le relazioni richiedono la presenza fisica della persona nel luogo. Per questo noi diplomatici viviamo nelle capitali del mondo; io potrei fare delle conferenze online e ogni tanto andare a incontrare le persone, ma no, io devo vivere in questi posti. Ancora, Fratelli tutti questo lo esprime estremamente bene. Quello che cercherò di fare è di vedere in che maniera il concetto di fraternità si integra con quello che io faccio nella vita e con il mio modo di lavorare.

    Cito l’enciclica: “C’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo e perfino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana”. È assolutamente così. Nel mio lavoro la cosa che conta più di tutti è l’incontro con una persona, il tempo e la qualità del nostro incontro. Il 98% della comunicazione, come ci dicono i neurologi, è non verbale. La società, sempre più globalizzata, ci rende vicini ma non ci rende fratelli e questo è un aspetto che – immagino – tutti voi vi troviate ad affrontare. La vicinanza che dovrebbe in un certo senso essere un aiuto nelle comunicazioni, spesso invece non ci aiuta. Io definisco il mio fare il diplomatico, tra le altre maniere, come un viaggio alla scoperta della fraternità.

    Adesso io toccherò alcuni punti e, nel toccarli, userò tre immagini.

    La prima immagine è l’immagine del pane. Per immagine del pane, intendo, e credo che noi tutti ce l’abbiamo in mente, quella del panettiere quando impasta il pane, quello che fa – il generale prima parlava della pazienza. Impasta con pazienza, gli serve tempo, forza – lasciamo da parte l’impastatrice perché chiaramente è il contrario di quello che sto cercando di dire – mette il lievito, dopodiché lo mette da parte, lo fa riposare, si riposa lui, lo fa lievitare, dopodiché lo mette nel forno. Credo che questa metafora sia una metafora data a ognuno di noi nella vita, anche nella mia, e cioè la cura, la pazienza, l’impegno, la dedizione e la forza che bisogna mettere in quello che uno fa. Quando penso al momento della lievitazione mi viene in mente, vivendo in Israele, essendo essa a stretto contatto con la cultura ebraica, lo Shabbat, che è esattamente questo: è il fermarsi per lasciare lievitare. Un meraviglioso libro di Usher sullo Shabbat dice che dalla distruzione del secondo tempio nel 70, momento in cui è iniziata la diaspora del popolo ebraico, gli Shabbat sono diventati le cattedrali del popolo ebraico.

    Accenno un attimo agli ingredienti, ne voglio toccare solo alcuni: in particolare il sale, quale può essere il sale? Prendersi cura dell’altro e del creato, ad esempio. Personalmente, io ogni volta che incontro una persona, qualcuno che mi chiede anche un’informazione per strada, io penso che quella persona in quel momento mi sia stata affidata. Quanto la cura del creato, vi accenno alcuni dati: esiste un riferimento, si chiama Overshoot Day, indica il momento in cui si sono esaurite le risorse rinnovabili annuali. Vi ricorderete la famosa canzone che recitava il 21 del mese i soldi erano già finiti, no? Tenete conto che il globo genera automaticamente delle risorse rinnovabili, nel senso che poi vengono rigenerate. In che momento dell’anno noi abbiamo già consumato tutte quelle rigenerate nell’intero anno e stiamo cominciando già ad intaccare, per così dire, il capitale. In altre parole, stiamo cominciando a segare il ramo sul quale noi siamo seduti. Nel 2022, questo giorno è stato il 28 luglio, cioè il mondo il 28 luglio dello scorso anno ha consumato tutte le risorse rinnovabili disponibili in quell’anno. Cinquant’anni fa, nel 1972, era il 14 dicembre, cioè ce l’avevamo quasi fatta. Per l’Italia, questa data è maggio. Allora, i soldi non sono finiti il 21 del mese, i soldi sono finiti al 10 del mese. Non tener conto di questo, vuole un po’ dire rubare il pane dell’altro, perché gli effetti saranno gravissimi. Gravissimi perché ci sarà una corsa alle risorse del presente e si ipoteca il futuro di quelli che verranno dopo di noi. Naturalmente si possono cambiare le abitudini, ed io ci spero molto, però per farvi sorridere su una cosa, guardiamo le macchine e il loro utilizzo. Diversi studi riportati dall’Economist indicano che le autovetture trascorrono tra il 90 e il 96% del tempo parcheggiate da qualche parte e che gli spostamenti medi sono tra i 6 e i 10 chilometri. Io sono contentissimo di questi dati perché vuol dire che si inquina meno il mondo e al contempo si fa funzionare l’industria automobilistica che impiega tutto il resto però un dato come questo dà molto dell’irrazionale. Per dire che cosa? Di allargare lo sguardo, cercare di vedere e considerare, nel concetto di fraternità, non solo l’altro, che è indispensabile, ma, come faceva San Francesco, anche tutti gli aspetti della natura del mondo nel quale noi viviamo e di percepirli come tali. Cioè capire che la nostra relazione non è una relazione solo con gli esseri umani; la nostra relazione è la relazione con il creato.

    Dice Fratelli tutti: “Sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo”. Esiste un concetto nell’ebraismo che si chiama techimolam che è esattamente questo, riparare il mondo. Siamo tutti chiamati a riparare il mondo, ognuno nella maniera in cui può. Esistono scambi che sono molto interessanti, in Israele per esempio c’è un accordo di pace con la Giordania basato esattamente su questo, cioè la Giordania, che ha grandi distese di deserto, dà a Israele dell’energia rinnovabile, principalmente energia solare, e Israele desalinizza acqua e la fornisce alla Giordania. Ecco una maniera in cui, ad esempio, ci si può scambiare il pane anziché prendere il pane di un altro.

    La seconda immagine riguarda ponti e scale. Il ponte è un’immagine meravigliosa per mettere in contatto due persone. Il generale Figliuolo prima parlava di ponti che possono però restare deserti. All’idea di ponte, io aggiungerei l’idea di una scala. Voi immaginatevi le scale a libretto, quelle che abbiamo nelle case. È nella dimensione verticale, nella dimensione spirituale, che si può trovare il punto per unire e per poter stabilire i rapporti. Ci sono dei metodi per poter fare questo: non mi dilungherò, ma parla la cultura dell’incontro, l’Enciclica, Padre Francesco, che è un gesuita, il concetto di presupponendum e l’incontro con gli altri; pensare sempre che il tuo interlocutore può aver ragione. C’è anche una consapevolezza del senso del limite. La cosa che purtroppo oggi rimane piuttosto difficile da fare, perché la tecnologia ci fa sentire degli dei, considerato quello che possiamo ottenere e raggiungere, anche con un semplice telefono. Il senso del limite è fondamentale non solo nei rapporti interpersonali, ma anche nei rapporti internazionali: l’articolo 11 della Costituzione, che è la mia stella polare, dice che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione della controversie internazionali e consente condizioni di parità con gli altri stati alle limitazioni si sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni.” La limitazione. Quindi essere impegnati è anche questo. Io sono orgoglioso di rappresentare un Paese che nella sua Costituzione riconosce l’importanza del senso del limite. Poi ci sono degli elementi misteriosi in tutto questo, in questa scala. Fratelli tutti parla della forza segreta del bene che si semina. Mi ha molto colpito, rileggendo l’Enciclica, vedere che all’inizio richiama proprio l’incontro di San Francesco con il sultano Malik al Kamil in Egitto, ottocento anni fa. Un incontro folle: si è andato a mettere nelle mani del nemico. Però un incontro ispirato da una forza segreta, una forza misteriosa che io vedo in azione; a questo mi riferisco. C’è un capitolo dell’Enciclica che parla di religioni al servizio della fraternità del mondo; ho messo in contatto Padre Francesco con un’organizzazione in Israele che si chiama Interfaith e che parte da un presupposto molto interessante e totalmente controintuitivo, parla delle 3 religioni che naturalmente sono presenti in Terra Santa. “Visto che noi non ci intendiamo a parlare di politica, riuniamoci e parliamo di religione.” E sta funzionando benissimo perché si riuniscono e ognuno parla e chiede: “qual è la tua definizione di peccato? Quella di preghiera?”. Il riunirsi in questa maniera sta creando dei ponti straordinari che la politica non riesce a trovare. All’inizio ci andavano con un po’ di diffidenza gli uni e gli altri, poi piano, piano ha cominciato ad andarci un po’ più di gente, poi c’è chi ha portato le mogli, chi i bambini, chi ha portato una chitarra; alla fine sono veramente dei germi importantissimi. Per farvi un altro esempio, una cosa che mi ha colpito molto, nel 2020 sono stati conclusi tra Israele e 4 paesi arabi, Bahrain, Emirati Arabi, il Sudan e Marocco, degli accordi di pace che prima non esistevano. Come li hanno chiamati? Gli Accordi di Abramo. Si fa riferimento a un personaggio che è nato circa 3000 anni fa, per definire degli accordi attuali; in genere gli accordi di diplomazia si riferiscono o a chi li ha sottoscritti o al luogo in cui sono stati sottoscritti. Quindi, che cosa significa? C’è una radice comune in tutti questi paesi che richiamano gli Accordi di Abramo, cioè siamo tutti figli di Abramo. In questo vorrei citare allora un altro passaggio dell’Enciclica che trovo preziosissimo in tutto questo. Ve lo cito per esteso: “Un principio indispensabile per costruire l’amicizia sociale è l’unità è superiore al conflitto. Non significa puntare al sincretismo né all’assorbimento di uno nell’altro ma alla risoluzione su un piano superiore”. Questo io intendo per scala, “che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto”. È fondamentale, le polarità in contrasto contengono energia; questa polarità va solo invertita di segno e va mantenuta. Questo è un passaggio meraviglioso dell’Enciclica che potrebbe veramente ispirare molte persone.

    L’ulteriore elemento in più è la trascendenza. Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere. È chiaro che in una situazione nella quale manca l’orizzonte trascendente, l’uomo entra in crisi in tutte le sue relazioni, quelle che ho indicato prima. Qual è la tentazione? Non far nulla perché si può far poco. Questo lo sappiamo tutti, l’abbiamo sentito dire tante volte. E qui richiamo un bel concetto, sempre contenuto nell’Enciclica, quando si parla di architettura e di artigianato della pace. Non tutti siamo nelle condizioni di poter influire nell’architettura della pace, cioè quella che è assicurata dalle istituzioni. Io un po’ ci sono dentro e cerco di fare del mio meglio, ma sicuramente nell’artigianato della pace, sì, ci siamo tutti. Ognuno con quel poco che può fare sapendo, per via di quella misteriosa forza del bene di cui abbiamo parlato prima, che noi non siamo in grado di sapere l’effetto che può avere un’azione buona. Nella mia azione di diplomatico, condivido pienamente la chiusura dell’Enciclica quando parla di cultura del dialogo come via, di collaborazione comune come condotta, conoscenza reciproca come metodo.

    La terza immagine, quella che prendo da Isaia 52: “Quanto sono belli sui monti i piedi del Messaggero di buone novelle che annuncia la pace che araldo di notizie liete.” Potremmo passare delle ore a meditare su questa immagine di Isaia. Io vivo in Terra Santa e i monti di cui parla lui, li vedo spesso perché vado due volte a settimana da Tel Aviv a Gerusalemme, quindi queste montagne le vedo. Tra l’altro, una breve parentesi, tutte le volte è un’emozione; vivere in un paese in cui sui cartelli stradali vedi Gerusalemme, Nazareth, Betlemme, Gerico, Giordano, richiama a una geografia spirituale interna a noi. Per cui, girare e vederli segnati anche dopo 2 anni di permanenza lì, continua a farmi lo stesso effetto, quello di essere a casa. Solo qualche breve annotazione su questo: sono monti, è salita, un fardello quello che viene portato dal Messaggero. E poi il suo è movimento, l’andare verso l’altro, non farsi scoraggiare. Un proverbio cinese dice: “Non c’è luce ai piedi del faro.” Andare avanti. Questa immagine molto poetica che io ho del Messaggero di pace, dei suoi bei piedi; io non lo immagino solo lungo questo sentiero ma accompagnato da moltitudini nella stessa direzione, nello stesso sentiero, con probabilmente destinazioni diverse. È una delle ragioni per cui mi fa piacere essere qua oggi perché mi immagino tutti noi presenti impegnati su questo sentiero.

    Grazie