Oltre la giustizia – Vangelo di domenica 17 settembre
“Fino a che punto è giusto perdonare un fratello se è colpevole?” è la domanda che ci facciamo tutti almeno una volta nella vita. È una domanda frutto della paura…
Scelgo di incontrare il Signore.
Mi concentro e vado oltre le mie preoccupazioni e i miei pensieri.
Faccio un segno di croce ed esprimo interiormente il desiderio di stare alla Sua presenza.
In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
“In quel tempo” corrisponde ad un momento ben preciso. È infatti un’ora di fatica in cui l’animo di Gesù viene animato dalla paura e dallo scoramento per le tensioni sociali che si erano create intorno a lui.
In quella precisa ora, Gesù volge il cuore al Cielo e si immerge in un dialogo intimo con il Signore: “Ti rendo lode, Padre”. Oggi diremmo: “Grazie, Papà”. Sono parole che solitamente si pronunciano dopo un incontro speciale in cui siamo stati visti, riconosciuti, aiutati, amati. Solitamente proviamo questo verso coloro che ci tendono le mani in un momento difficile.
Gesù sperimenta in prima persona l’abbandono e l’affidamento totale al Padre. Prima si fa accogliere per trovare nel Padre una nuova forza da restituire al mondo. È qui che ci stupisce: “Venite a me, voi che siete stanchi e oppressi, vi darò ristoro”. Senza cogliere la dinamica relazionale con il Signore, Gesù appare un mago: come fa a chiamare a sé coloro che sono stanchi, addolorati e smarriti se lui stesso si trova in un’ora tanto dura?!
Nel dolore e nella paura, tutti abbiamo bisogno di due braccia che ci stringano.
Ancora oggi i piccoli ci insegnano il coraggio di alzare le braccia nel momento del pianto, certi che si verrà raccolti in un abbraccio, protetti e amati senza prezzo. La fiducia che abita nel loro cuore è ancora qualcosa che troppo spesso i grandi dimenticano. Solo l’abbraccio può restituirci una prospettiva diversa da cui guardare la realtà e da quella nuova prospettiva, ogni paura appare affrontabile e ogni dolore si fa consolabile.
Proprio noi grandi che conosciamo tante cose del mondo, spesso non vediamo l’orgoglio e la solitudine che ci spingono lontani dal Signore e ci portano a chiuderci nella fatica invece che abbandonarci.
I piccoli sanno che non ci si salva mai da soli.
Sanno che c’è un Padre che è sempre pronto ad abbracciare e consolare.
Dentro quelle braccia, il giogo è veramente dolce e il peso si fa davvero più leggero.
Visualizzo la scena provando ad immaginare il luogo, i personaggi, i dialoghi, i toni e i gesti.
Lascio che emergano i miei sentimenti, ciò che più mi colpisce, le emozioni che provo.
Accolgo il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Quando vivo una difficoltà mi chiudo nell’orgoglio e nella solitudine o mi affido al Signore?
Se immagino le braccia del Signore che mi confortano e consolano, quali emozioni provo?
Sento che la realtà, vista dalla prospettiva del Signore, è affrontabile anche nelle sue parti più dure?
Come se mi rivolgessi ad un amico, parlo con il Signore e con sentimento di gratitudine gli esprimo ciò che sento di ricevere da lui in questo momento.
Recito un Padre nostro per salutarlo e uscire dalla preghiera.
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