Oltre la giustizia – Vangelo di domenica 17 settembre
“Fino a che punto è giusto perdonare un fratello se è colpevole?” è la domanda che ci facciamo tutti almeno una volta nella vita. È una domanda frutto della paura…
Scelgo di incontrare il Signore.
Mi concentro e vado oltre le mie preoccupazioni e i miei pensieri.
Faccio un segno di croce ed esprimo interiormente il desiderio di stare alla Sua presenza.
Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
C’è una tristezza negli occhi dei due discepoli che gli impedisce di vedere.
C’è una delusione nel loro animo per la morte di Gesù, per questa separazione a cui non erano pronti.
Quanto è difficile vivere la Resurrezione quando le nostre braccia non posso più stringere coloro che abbiamo amato tanto…
C’è una tristezza anche nei nostri occhi quando ci sentiamo abbandonati e soli…
C’è una nostalgia in noi per esserci separati dal Signore quando siano nati sulla terra.
C’è una solitudine radicata nella nostra anima che è piena di mancanza… mancanza di Casa, mancanza del Signore, mancanza del Suo abbraccio.
È un vuoto da cui origina la tensione e il desiderio di ricongiungerci al Padre.
E quanto più soffriamo, quanto più sentiamo quella mancanza acutizzarsi, quel desiderio divenire sempre più forte.
Anche noi siamo ciechi, come i discepoli di Emmaus.
E nel pianto crediamo di voler “tornare a Casa” senza accorgerci che un vero padre non lascia mai soli, che il Signore ci è a fianco, che sta camminando con noi e ci sta consolando.
Il Signore è ancora qui, è ancora con noi.
Possiamo riconoscerlo dal modo in cui spezza ancora il pane nella nostra vita, dentro quei gesti concreti in cui ancora e sempre si manifesta nella nostra quotidianità.
Abbracciamoci nella nostalgia, specialmente quando diventa tristezza e solitudine.
Aiutiamoci a vicenda ad aprire gli occhi per riconoscere i segni della Sua presenza nella nostra vita.
Restiamo comunità,
restiamo in comunione.
Visualizzo la scena provando ad immaginare il luogo, i personaggi, i dialoghi, i toni e i gesti.
Lascio che emergano i miei sentimenti, ciò che più mi colpisce, le emozioni che provo.
Accolgo il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
I miei gesti sono coerenti con le mie parole? Gli altri riconoscerebbero ciò che professo nei gesti che compio?
Se penso all’ultima difficoltà che ho vissuto, ho sentito la presenza del Signore e la sua vicinanza? Oppure, come di discepoli di Emmaus, ne ho sentito la mancanza?
Mi sento in comunione con Dio e con i miei fratelli?
Come se mi rivolgessi ad un amico, parlo con il Signore e con sentimento di gratitudine gli esprimo ciò che sento di ricevere da lui in questo momento.
Recito un Padre nostro per salutarlo e uscire dalla preghiera.
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