Al di là della paura – Vangelo di domenica 3 settembre
“Dio non voglia, questo non ti accadrà mai!”: Pietro, nella sua meravigliosa immediatezza, esprime la fragilità umana che abbiamo tutti di non voler perdere chi amiamo.
Scelgo di incontrare il Signore.
Mi concentro e vado oltre le mie preoccupazioni e i miei pensieri.
Faccio un segno di croce ed esprimo interiormente il desiderio di stare alla Sua presenza.
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi.
Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
“Fino a che punto è giusto perdonare un fratello se è colpevole?” è la domanda che ci facciamo tutti almeno una volta nella vita.
È una domanda frutto della paura di sbagliare la misura, di finire per l’essere buonisti che si lasciano usare e frutto di una logica schematica che pesa, quantifica, pone misure e limiti.
La risposta di Gesù implica una domanda che sovverte ogni schema: “Ma tu fino a che punto sei disposto ad amare? Qual è il tuo limite nel perdonare?”.
Non ce l’aspettiamo questa risposta da un Dio che è Giustizia. Il dolore ci spinge a cercare condanne esemplari per pareggiare dei conti che in fondo non potranno mai essere pareggiati perché ciò che abbiamo perso e ci è stato tolto non tornerà.
Il perdono non si sostituisce alla giustizia ma ne permette il suo vero compimento. La giustizia ha senso solo quando consente alle persone di riparare il torto commesso, di interrompere la catena di male che il rancore, l’odio e la vendetta alimentano.
Gesù ci chiama in causa perché il perdono è possibile solo se siamo disposti ad amare senza limiti o se diventiamo consapevoli di quali sono quei limiti che ci stanno impedendo di non farci divorare dal male, dalla frustrazione e dalla rabbia.
Il perdono è un percorso che consiste nello scoprire che c’è un amore che va oltre la giustizia e che ci consente di tornare ad essere riconciliati con i nostri limiti, con quel Dio che è morto per abbondanza di un amore che gli è costata la vita e in pace verso gli altri e con la vita stessa.
Queste parole di Gesù sarebbero state vuote se poco dopo non avesse scelto la croce.
Se non avesse scelto di stringere l’amore invece che trattenere la rabbia.
Se non avesse scelto di abbracciare tutti noi, da chiodo a chiodo, affinché ogni nostro peccato potesse essere perdonato.
Visualizzo la scena provando ad immaginare il luogo, i personaggi, i dialoghi, i toni e i gesti.
Lascio che emergano i miei sentimenti, ciò che più mi colpisce, le emozioni che provo.
Accolgo il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Mi sono mai sentito veramente perdonato dal Signore?
Quale emozione ho provato?
Cosa mi limita nella mia capacità di perdonare gli altri?
Come se mi rivolgessi ad un amico, parlo con il Signore e con sentimento di gratitudine gli esprimo ciò che sento di ricevere da lui in questo momento.
Recito un Padre nostro per salutarlo e uscire dalla preghiera.
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Non siamo abituati ad un Dio che si fa presente ancora prima che lo supplichiamo.
“Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te” è la dinamica della quotidianità, dove vivere insieme può significare anche ferirsi a vicenda e confliggere.
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