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Coraggio, riprovaci! – Vangelo di domenica 11 settembre

Stupisce l’amore del Signore che è racchiuso in queste parabole. Commuove il pentimento del Figliol Prodigo condensato nelle parole: “non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” e l’intensità della misericordia con cui il padre gli corre addirittura incontro e gli mette l’anello al dito, vestendolo dei vestiti migliori.

Dimmi di riprovare, ma non di rinunciare […] perché solo nel perdono, cambia un uomo.
Marco Mengoni, Cambia un uomo
Mi preparo

Chiudo gli occhi e mi concentro sul momento presente,
cerco di liberare la mente da preoccupazioni e pensieri,
faccio un segno di croce ed esprimo interiormente il desiderio di stare alla presenza del Signore.

Entro nel testo

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Ed egli disse loro questa parabola: “Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”.
Disse ancora: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”

Mi lascio ispirare

Stupisce l’amore del Signore che è racchiuso in queste parabole. Commuove il pentimento del Figliol Prodigo condensato nelle parole: “non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” e l’intensità della misericordia con cui il padre gli corre addirittura incontro e gli mette l’anello al dito, vestendolo dei vestiti migliori. Non ce l’aspettiamo una misericordia così grande da Dio e, spesso, siamo poco capaci a farci davvero i conti. La maggior parte delle volte preferiremmo ricevere una punizione per sedare i nostri sensi di colpa e dormire sonni più tranquilli, per poterci spiegare quello schiaffo punitivo dicendoci: “Beh, è giusto… me lo sono meritato in fondo!”. Eppure il Signore non conosce queste logiche, non ha questi interessi. Dio non cerca un pareggio dei conti ma cerca il figlio che era morto, la pietra persa, la pecora smarrita. Il Suo sguardo non si ferma ai nostri sbagli ma è rivolto verso il nostro futuro ed è lì che ci chiama: “coraggio, riprovaci, credo in te!”.
Il Signore non ci chiede di pagare ma di riprovare.
Questa è la vera compassione dello sguardo di Dio, la Sua vera misericordia.
Questo è il modo in cui Dio ci ama e in cui ci chiede di amare gli altri.

Immagino

Visualizzo la scena provando ad immaginare il luogo, i personaggi, i dialoghi, i toni e i gesti.
Lascio che emergano i miei sentimenti, ciò che più mi colpisce, le emozioni che provo.
Accolgo il mio sentire, senza censure, senza giudizi.

Rifletto sulle domande
  1. Sento lo sguardo compassionevole di Dio su di me?
  2. Mi focalizzo sulle mie potenzialità o tendo a restare chiuso nella rabbia e nella tristezza dei miei
    errori?
  3. Quando qualcuno mi ferisce, lo aiuto a mostrargli il punto in cui può crescere? O mi chiudo in
    risentimenti punitivi?
Ringrazio

Come se mi rivolgessi ad un amico, parlo con il Signore e con sentimento di gratitudine gli esprimo ciò che sento di ricevere da lui in questo momento.
Recito un Padre nostro per salutarlo e uscire dalla preghiera.

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