La forza della sua presenza – Vangelo di domenica 21 maggio
Come è possibile credere, amare e dubitare? Come possono coesistere nello stesso cuore due dimensioni così contraddittorie?
Chiudo gli occhi e mi concentro sul momento presente.
Cerco di liberare la mente da preoccupazioni e pensieri.
Faccio un segno di croce ed esprimo interiormente il desiderio di stare alla presenza del Signore.
(Lc 14, 25-33) In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
“Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così, chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”.
Gesù, oggi, usa parole molto chiare per indagare la motivazione di fondo dei discepoli a seguirlo.
Le sue parole suonano così nette che, inevitabilmente, ci interrogano in maniera radicale sull’essere o no suoi discepoli e ci fanno capire che l’amore non ha mezze misure: o è totale o è nulla!
Sei disposto a rinunciare a ciò che per te è più importante?
Con questa domanda Gesù non ci chiede di rinnegare i nostri affetti più cari o la nostra stessa vita ma, bensì, di non possederli. Ci chiede di amare nella libertà, riconoscendo che c’è una mancanza di fondo in cui solo Dio può dimorare e nessun altro. Non possedere gli altri significa non renderli strumenti per colmare quella mancanza, non sostituirli a Dio, anche se sono cose buone come un marito, una moglie o dei figli. Solo così Dio può coltivare in noi una vita spirituale, in quel luogo in cui solo lui può seminare.
Gesù non sarebbe potuto morire sulla croce se Maria glielo avesse impedito, se gli avesse detto: “Figlio, che dolore mi rechi! Tu che sei il mio unico figlio, ti prego, non farlo!”. Maria ha amato immensamente suo figlio, senza mai pensare di possederlo, senza pretendere che lui colmasse quella mancanza di fondo che anche lei provava.
Gesù, oggi, ci chiede di essere fedeli a questa appartenenza a Dio e di seguirlo in una scelta libera ma convinta. Basta fidarci! Non siamo soli.
Visualizzo la scena provando ad immaginare il luogo descritto, i personaggi principali, i dialoghi che si scambiamo, i gesti che compiono.
Lascio che emergano i miei sentimenti, mi focalizzo su ciò che mi colpisce, sulle emozioni che mi suscita.
Accolgo il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Come se mi rivolgessi ad un amico, parlo con il Signore e con sentimento di gratitudine gli esprimo ciò che sento di ricevere da lui in questo momento.
Recito un Padre nostro per salutarlo e uscire dalla preghiera.
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